Alex Carini – Umili sempre, modesti mai

Originario di Fidenza, in provincia di Parma, Alex Carini è senz’ombra di dubbio una delle personalità più note nel settore real estate in America. L’agenzia di intermediazione immobiliare da lui fondata è leader a New York e ha aperto anche sedi a Los Angeles e Miami. Un sogno americano in continua espansione che abbiamo cercato, insieme a lui, di ripercorrere e comprendere a pieno. 

Alex, da quanti anni sei qua?

Sono qui da 14 anni, quasi 15.

Lavori nel settore real estate, nell’immobiliare. Ti occupi principalmente di immobili di lusso qui a New York. Come ti sei conquistato una fetta di mercato così complessa?

Diciamo che appena sono arrivato in America ho guardato in particolare a New York, questa città “dei grattacieli”, e ho detto: devo essere nell’immobiliare. Non è famosa per il mare New York, ma lo è per tutti questi grattacieli. Ho cercato di abbinare il mio background internazionale, chiaramente europeo – parlo italiano, spagnolo e altre lingue – con il business qui in America, per trovare compratori europei che venissero qui a Manhattan.

Sei arrivato qui che avevi vent’anni…

Sono arrivato qui con la scuola, avevo vent’anni. Ho fatto una business school, la Northeastern in collaborazione con la Cattolica in Italia. Ho fatto due anni in Italia e due anni in America. Mi sono laureato nel 2010 qui negli Stati Uniti e, a quel punto, sono tornato in Italia, ma dopo 10 mesi dissi “se non mi muovo ora finisce che non riuscirò ad andarmene mai più”. Avevo perso tutti i documenti, né avevo visto niente,, sono tornato da turista e ho bussato alle porte per trovare lavoro. Lavoravo, all’epoca, per un’azienda di tapparelle. Sono arrivato nel momento in cui c’era la crisi finanziaria, quindi tutti i posti di lavoro con le banche non erano disponibili, e mi sono dovuto dar da fare: ho rimboccato le maniche. Sono tornato con visto da turista e ho trovato 4 offerte di lavoro. Ne ho scelta una per uno studio legale che si occupava di portare società italiane negli Stati Uniti per espandersi. Mi è stato fatto un visto e da lì ho lavorato tre anni con loro, poi altri tre anni in un’agenzia immobiliare che aveva sede in Europa. Poi l’agenzia dove lavoravo ha chiuso e lì ho aperto la mia; ormai sono 5 o 6 anni… Ora siamo la prima agenzia italiana a New York. Abbiamo anche Miami e Los Angeles come mercati di riferimento. Muoviamo circa 100 milioni di dollari ogni anno, abbiamo una sessantina di persone tra agenti, collaboratori e staff. Il modo in cui faccio business è diviso in un’agenzia residenziale, una commerciale, una società di gestione e, in più, sono immobiliarista, quindi investo io in proprietà di rendimento, cioè appartamenti principalmente residenziali che ridanno indietro l’affitto.

Tutti hanno il sogno Americano e pensano di poter trovare lavoro andando negli Stati Uniti con un visto turistico. Ma questa cosa è davvero possibile?

Tantissimi dicono “vieni qui, fai un master, prendi l’università”, ma l’importante è volersi mettere in gioco con tanta umiltà. All’inizio ho diviso appartamenti con quattro persone, ho vissuto con i topi, ho mangiato slice di pizza a un dollaro per cinque anni per risparmiare, però ora posso dire che le cose sono andate molto bene. Bisogna saper accettare i compromessi, come feci quando avevo 21-22 anni. Se si usano questi “ingredienti”, si cresce bene, perché a New York non interessa cos’hai studiato e a chi sei figlio: l’importante è quello che fai. Se non fai quello che dici, qui…

Questo è un discorso molto legato alla reputazione. Lavora duro e i risultati arrivano…

Sì, qui è molto meritocratico, assolutamente.

È vero che il livello dei competitor è basso?

Qui diciamo che nel mio lavoro le barriere di entrata sono bassissime. Non hai bisogno di avere una laurea, devi avere 18 anni, non hai bisogno di soldi perché la licenza immobiliare la prendi con 200 dollari e un corso online. Queste sono le regole minime per iniziare, quindi in tantissimi lo possono fare. La difficoltà, poi, è nella competizione. Ci sono 60mila agenti immobiliari a New York. Non è difficile entrare, ma in tantissimi fanno la fame.

Come sei riuscito a farti dare immobili di lusso in un mercato così competitivo? C’è un segreto?

Non ci sono scorciatoie. La realtà è che bisogna fare un passo alla volta, e se fai quello che dici… Io sono partito dal mettere insieme persone per affittare un appartamento stanza per stanza, ma ho fatto soldi da subito, perché ogni appartamento qui valeva 6.000 dollari, quindi se ne mettevo insieme 3 o 4 al mese già cominciavo ad andare sui ventimila. Piano piano ho fatto cose di più alto livello, semplicemente ottenendo risultati da quello che promettevo. Appartamenti da un milione, poi da due, da cinque, poi da venti. Allora poi il cliente dice “Alex lo conosco, ho visto quello che ha fatto e allora se lo merita”. Ma va fatto uno step alla volta.

Qual è la differenza fra il mercato dell’immobiliare in Italia costituito da franchising e piccole agenzie e quello immobiliare negli Usa?

Il mercato statunitense è molto trasparente. Io, ad esempio, sono membro del consiglio di amministrazione immobiliare in America: tutto è online, tutto è condiviso, sai quanto paghi, sai come funziona, sai quanto vendi. Questo dà fiducia al compratore che può capire se si sta approcciando a un buon affare. In Italia è molto diverso: ho sempre visto che tanti hanno proprietà off market, ma è difficile capire cosa succede, capire di chi è una proprietà. È registrato tutto in maniera meno accessibile. Il mercato del lavoro a New York è molto forte, ed è il principale influencer del mercato immobiliare. Lavori qua? Se hai un buon salario puoi permetterti un affitto più alto; stessa cosa nell’acquisto. Il mercato immobiliare va molto bene qui perché il mercato del lavoro va molto bene. In America l’immobiliare va benissimo!

Mettiamo il caso che un manager debba trasferirsi a New York per lavorare per un periodo di uno, due anni o per sempre. Come cambia il mercato degli affitti, quali sono i costi, le insidie e a cosa bisogna stare attenti?

Beh, sicuramente il mercato immobiliare a New York è una giungla, specie negli affitti. Una cosa importante è rivolgersi a un professionista qui, per essere pronti a questo mercato molto aggressivo. Se non si hanno i documenti per presentarsi in maniera forte al padrone di casa, in questo momento è molto facile perdere l’appartamento. C’è tantissima domanda e un’offerta ridotta. È quasi come una gara. Affidarsi al professionista significa prepararsi al mercato; assicurarsi che l’appartamento vada bene, che le dinamiche siano chiare. New York a differenza degli Usa, per la sua natura competitiva, è diversa da qualsiasi altra città. L’isola è piccola e si sviluppa in verticale. La competizione è tremenda perché c’è pochissimo spazio per affittare, comprare e inventare.


A New York c’è quella storia “speriamo che accettino la proposta” perché anche l’inquilino può essere rifiutato. Da cosa dipende?

Da tante cose, principalmente dalla tua abilità a dimostrare al proprietario che potrai pagare l’affitto. Se si è locatari internazionali, manca la credit history. Gli americani hanno un codice fiscale attraverso il quale è possibile vedere se si è buoni pagatori o no, e tutto lo storico esce fuori. Se c’è un numero alto significa che sei stato un buon pagatore, se c’è un numero basso significa che hai mancato qualche bolletta e il proprietario di casa lo vede in modo non buono. L’europeo non ha questo documento, in quanto prettamente americano. Poi bisogna dimostrare di avere un income sufficiente: qui la regola generale è che devi fare 40 volte l’affitto mensile col tuo salario lordo annuale. Un bilocale può valere 3-4mila dollari: se non guadagni almeno 100mila dollari non puoi qualificarti. Sul resto ci si può organizzare.

Un manager viene a New York e vuole prendere un appartamento: quanto spende più o meno?

Per un bilocale da 100mq sui 5mila dollari al mese, in una forbice che va dai 4.500 ai 6.000.

Dicevamo, tu sei arrivato negli Usa con visto turistico…

Sono stato meno di 90 giorni, venni il 9 settembre e tornai il 6 dicembre: queste sono date importanti per la mia vita.

Prima di andare via avevi già trovato la soluzione per rientrare?

Prima di lasciare gli Stati Uniti avevo trovato il lavoro, ebbi quelle quattro offerte. Questa è una parte che mi piace molto raccontare. Ho cercato di trovare lavoro dall’Italia, ho mandato CV dall’Italia, ma l’ultima domanda di ogni colloquio era: “sei cittadino americano o hai la green card?” Io dovevo rispondere, mio malgrado, di no, e loro buttavano la mia domanda nel cestino. Mi resi conto che dovevo presentarmi di persona, bussare alla porta ed essere lì. Ho preso l’aereo, fatto il visto turistico, e trovato le quattro offerte di lavoro.

Senza green card? Come?

Il mio step logico fu andare negli Stati Uniti, e non chiedere quello che mi serviva, ma quel che potevo offrire. Il mio punto di forza erano le lingue e il background, avendo studiato business internazionale, e poi so relazionarmi con le persone e aiutarle. La sfera d’influenza dove potevo agire meglio era quella degli italiani. Su LinkedIn c’era un gruppo che si chiamava “Professionisti Italiani a New York City”, dove c’erano le offerte più disparate nel business: avvocato, commercialista, immobiliare, bancario. Ho contattato le persone che mi interessavano, ho spiegato perché volevo sedermi al tavolo, e ho detto loro che sarei stato lì a sedermi al tavolo. Questa è la differenza rispetto a mandare un CV e non esserci… 

Devi presentarti. Nove su dieci mi hanno detto di no. Qualcuno mi ha detto di no, ma mi ha consigliato qualcuno a cui sarei potuto interessare, così da una cosa nasce l’altra. Gli italiani qui a New York mi hanno aiutato tantissimo, perché anche chi non aveva lavoro mi ha indicato una direzione e, alla fine, ho trovato quelle quattro offerte di lavoro tra le più disparate. La prima era quella di venditore di vini, qui tra New York e gli Hamptons, la zona balneare di lusso di Long Island. 

Una mi propose di fare lo stock brooker a Miami. Andai tre giorni, avevo risposto a un annuncio sul giornale… Non avevo niente da perdere, avevo 22 anni, no? Alla fine decisi di lavorare per uno studio legale italoamericano che lavorava per diversi brand italiani e compagnie che sono o in Italia e vengono negli Stati Uniti, o che sono già qui e vogliono espandersi, facendo attività di business. Non contenzioso, ma principalmente relazioni commerciali e immobiliari. Questa la mia prima esposizione al mercato immobiliare. All’epoca avevo 22 anni e mezzo e già parlavo con CEO italiani di compagnie molto conosciute, e questo mi ha dato l’opportunità di partire così. Dopo due anni e mezzo decisi che non volevo fare l’avvocato, ma mi piacevano molto gli affari. In particolare, c’erano clienti che cercavano spazi, perché chiunque viene qui o si trasferisce con la famiglia, ha bisogno di una casa; o magari viene per avviare un’attività e gli serve un immobile. Un cliente venne e disse “voglio qualcosa a Miami e a New York”. Iniziai a fargli vedere le mie proposte all’interno dello studio legale, che aveva licenza immobiliare, e adorai quel lavoro. Pensai che faceva per me e questo mi ha acceso una lampadina. Capii che quello avrebbe potuto essere un settore interessante per me. Poi mi dissi: vuoi imparare a fare la pizza? Devi andare da un pizzaiolo; quindi andai in un’agenzia immobiliare con sede in Italia che mi insegnò il business. Qui aveva cinque o sei persone ed era molto “boutique”. Ho iniziato a lavorare con loro perché era una società piccola. Nelle grandi società impari i processi, nelle società piccole riesci a vedere tutto il business. Sapevo che avrei voluto fare la mia società un giorno, e andai in una piccola come “step intermedio” per iniziare il mio business. Questa società andò bene per due o tre anni, poi chiuse.

Come mai chiuse?

Non funzionò più. Non fece più business; è difficile competere a New York, specialmente sull’immobiliare. In America c’è un detto: “Quando Dio ti dà i limoni, fai le limonate”; cioè devi lavorare con le carte che hai. Successe questa cosa che velocizzò l’apertura della mia società, “Carini Group”. Se mi guardo indietro non mi lamento mai, perché è andata molto molto bene fin dall’inizio.

Com’è nata la società a livello burocratico?

Molto semplice. Io, lavorando nello studio legale, avevo aiutato altre società ad aprire qui a New York; qui è molto semplice. Si apre la società in un giorno con poche centinaia di dollari. La burocrazia negli Stati Uniti è quasi a zero. Non “fanno soldi” rendendoti la vita difficile nel provare a fare l’imprenditore. La difficoltà qui è competere: non serve un capitale sociale di 100mila dollari, passare attraverso notai ecc.; lavori con niente ma nove su dieci falliscono. Qui è molto “free market”.

Nonostante i tanti negozi chiusi il real estate qui è in crisi o in realtà è sempre attivo?

Se stiamo parlando principalmente di retail, cioè di sedi commerciali a livello pianterreno, quindi negozi, sicuramente è il settore più in difficoltà e lo era già prima della pandemia, perché tante vendite si sono spostate online, come abbigliamento e food. Con la pandemia, specialmente a New York, dove tanti hanno lasciato la città, i negozi si sono svuotati. L’opportunità adesso è questa: tante compagnie con cui lavoriamo sanno che ora possono comprare a 60 centesimi sul dollaro un’attività che prima ti costava 100 centesimi su un dollaro, quindi sconti ottimi. Chi è nel business o è uscito o è in una situazione di “lascia o raddoppia”. Se sai che farai questo per i prossimi 10-20-30 anni, come tante società che riescono a passare la tempesta, capisci che è il momento di investire perché il costo è più basso del 40%.

Effettivamente è un momento di grandi opportunità. Molti manager quando si devono trasferire negli Stati Uniti per un breve periodo di due, tre o cinque anni, non sanno mai se portare la famiglia o lasciarla in Italia. Come si vive a New York con la famiglia?

Generalmente New York è una città competitiva, frenetica, veloce, con pochi spazi. Tutte queste cose messe insieme non sono molto nella direzione della famiglia cui serve più spazio. Il risvolto della medaglia è che New York è sicuramente una città conveniente per altri motivi: non si deve usare l’auto, ci sono supermercati vicini, Wall Street è zona pedonale, ci sono parchi, ristoranti. L’altra cosa da considerare è che è sicuramente una città costosa. Per stare con una famiglia devi guadagnare bene.

La scuola costa 20.000 dollari l’anno…

La scuola pubblica è inclusa nelle tasse. La scuola privata può costarti dai 20.000 dollari l’anno fino ai 40-50.000, dipende da dove si va. È cara, come l’università.

Però c’è una comunità di bambini, situazioni, famiglie…

Sì, ci sono zone che sono prettamente per famiglie come l’Upper East Side, la zona adiacente al Central Park sul lato est di Manhattan, paragonabile ai Parioli a Roma.

E lì quanto costa un appartamento bilocale da 100 mq in affitto?

Dipende. Se stai sulla 5th è molto caro, ma dopo Park Avenue, avvicinandosi al mare, si va sui 3mila dollari. Non è più cara delle altre zone di New York. Per i salari di qua è abbordabile. Inoltre, c’è la vicinanza con il parco e le migliori scuole di New York sia pubbliche che private. Ci sono centri, chiese, supermercati e tutto quel che serve alla famiglia.

Un’ultima domanda: i tre consigli fondamentali che ti senti di dare per realizzare il sogno americano?

Ai ragazzi giovani direi che tra i 20 e i 30 anni si devono prendere decisioni di alto rischio, altrimenti non si prenderanno mai. A quell’età qualsiasi cosa è un’esperienza e incoraggerei tutti a sognare in grande, viaggiare, imparare cose che non si sanno, vedere posti che non si conoscono, imparare lingue, e a quel punto decidere cosa fare. La seconda cosa che direi è di avere tanta umiltà: lavorare duro perché specialmente a New York ma in tutto il mondo, se si è in una situazione meritocratica, alla fine esce il proprio valore. La terza cosa è di essere umili ma non modesti. Qual è la differenza? Io ho condiviso appartamenti, come dicevo, con quattro persone, ho mangiato pizza da un dollaro per cinque anni, ho vissuto coi topi: questa è umiltà; è il sacrificio che ho fatto. Però ho sempre pensato nella mia testa che sarei diventato il numero uno, che sarei diventato il primo immobiliarista italiano al mondo, che avrei fatto le cose in grande. Non pensarti mai in piccolo, ma abbi l’umiltà di arrivare ai tuoi obiettivi attraverso i sacrifici e le rinunce che ti servono per arrivare là.

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